IL QUESITO
Buongiorno, sono un’insegnante della scuola primaria, scrivo dopo essermi confrontata a lungo con i colleghi sulle complesse caratteristiche dei nostri alunni che spesso ci spostano dal nostro ruolo di docenti, non più chiamati solo a educare. Non riteniamo debba essere compito nostro assolvere a problematiche che interessano altri piani rispetto l’apprendimento, quelli cioè più prettamente personali del bambino, eppure in alcuni casi diventa necessario. Per esempio, un’alunna di nove anni, Marta, ci ha sempre colpito per il suo atteggiamento arrogante, indisciplinato, scettico e distante. Oltre a ciò manifesta una forte selettività alimentare e la determinazione a non mangiare, anche solo ad assaggiare qualche piccolo boccone, rifiutando così l’impegno, lo stesso che si chiede a tutti gli alunni, di un’educazione alimentare sana e adeguata. Contavamo di ricevere da parte della famiglia il pieno appoggio, se non addirittura la gratitudine, nello stimolare l’alunna a raggiungere l’obiettivo di alimentarsi adeguatamente. Purtroppo invece ci è giunto il rimando di essere troppo severi e di non capire, così abbiamo dovuto a malincuore consentirle di adottare comportamenti ad altri non concessi. Ma questa è educazione?
RISPONDE
Valentina Loliva (psicologa, psicoterapeuta)
Buongiorno Sonia, concordo con quanto scrive, infatti sempre di più è demandato alla scuola il
compito di occuparsi dei molteplici piani che riguardano la crescita dei bambini. Lei stessa individua l’importanza di garantire a questi ultimi il benessere e l’opportunità di maturare in un contesto sociale stimolante, che preveda il confronto con i pari, che permetta di misurare il proprio egocentrismo all’interno del rapporto asimmetrico con un adulto e, non certo per ultimo, offrire a tutti il diritto all’istruzione.
IL CONFRONTO CON I COLLEGHI
Mi pare di comprendere dalle sue parole che con lei vi sia un equipe di insegnanti con i quali condivide difficoltà, progetti e idee: questo è davvero da valorizzare. La mia esperienza di lavoro nella scuola mi porta a ritenere il confronto dell’equipe tra docenti l’opportunità per sollevare il singolo insegnante dal vivere le complessità con la classe da solo. L’incontro fra docenti dovrebbe diventare il momento in cui promuovere nel gruppo degli insegnanti nuove idee, affinché la programmazione condivisa divenga il momento in cui si individuano gli scogli incontrati individualmente e, creativamente, si formulino dei progetti che pianifichino gradualmente degli step per la risoluzione dei problemi. Forse però non sempre viene dato equo valore a questo momento e non sempre viene coinvolto uno specialista per complessità come questa che descrive.
Ostacoli al confronto
Sono tante le situazioni nelle quali il confronto fra colleghi è in vario modo ostacolato:
• istituzionalmente non viene riconosciuto il tempo di un confronto e l’assenza di ore retribuite di programmazione talvolta porta a ritenere superfluo il confronto stesso;
• l’equipe degli insegnanti si modifica nel corso dell’anno scolastico, anche più volte, per supplenze o sostituzioni temporanee;
• il momento di programmazione può essere considerato come lo spazio del conforto fra colleghi, il momento in cui l’insegnante si “scarica” delle complessità vissute;
• per alcuni insegnanti non è facile riconoscere o ammettere che certi eventi in classe costituiscono un problema e non vedono la necessità di pianificare una strategia di lavoro.
Esistono tanti diversi piani in gioco nella crescita del bambino e talvolta proprio la scuola, per le caratteristiche descritte sopra, si trova costretta a scremare alcuni piani di lavoro, riducendo l’impegno dell’insegnante soltanto a un passaggio di nozioni, cosa peraltro non pensabile per gli esseri umani.
L’ALLEANZA CON I GENITORI
Altro aspetto che cita nella sua domanda riguarda l’alleanza con i genitori. Per brevità mi limito solo a segnalare che ogni genitore aspira a rendere il bambino autonomo e competente, ma involontariamente ogni valutazione data al figlio viene intesa dal genitore come una valutazione sulle proprie competenze genitoriali. Nel caso di Marta che, come lei stessa sottolinea, ha strutturato una personalità molto forte, come crede possa risuonare nei genitori un monito rispetto alla difficoltà della bambina di alimentarsi? Sappiamo bene che l’angoscia di ogni genitore fin dalla nascita del figlio è che si alimenti sufficientemente, ovvero, che non rischi di rinunciare ai propri compiti vitali.
Quando il timore prevale
Talvolta il timore che eventi esterni possano “traumatizzare” il figlio prevale sulla logica della sperimentazione e della stimolazione. Il rapporto tra genitori e insegnanti, in questi casi, può diventare un braccio di ferro. Se immaginassimo un neonato attaccato placidamente al seno potremmo capire quanto possa mortificarlo la proposta di uno svezzamento inatteso e quanto possa spaventare il genitore tale richiesta che sembra contenere la domanda “e se il bambino non tollerasse questa frustrazione… cosa ne sarebbe di lui?”. Forse l’incomprensione che si è creata con Marta e i suoi genitori è mossa da questo diverso focus? Quello di voi insegnanti orientato all’autonomia e quello dei genitori, invece, rivolto alle fragilità della bambina?
La presenza di uno specialista
Incontrare i genitori e accompagnarli dal punto in cui si sono fermati fino alle esigenze evolutive del figlio è un cammino lento, e spesso è opportuna la presenza di uno specialista che riconosca il motivo del fraintendimento fra insegnanti e genitori e il processo dinamico sottostante. È molto probabile che se i genitori si sentiranno compresi da voi nei loro timori, attenueranno il “braccio di ferro” in atto consentendovi di trovare delle soluzioni condivise.
Articolo tratto dalla rubrica “Che fare con…” nel numero di novembre-dicembre 2016 della rivista “Psicologia e scuola”.